Lo sviluppo del DAB è in corso. Ed è in atto la fase della occupazione, anche un po' selvaggia. Tutto bene così? Forse dobbiamo curarci anche di una fase di riflessione. Soprattutto sull'impatto editoriale e di ampliamento effettivo del servizio Radio al pubblico.

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In questi giorni mi sono sentito al telefono con GC, un carissimo amico amico che lavora per un grande gruppo editoriale. E poi con CD, un collega consulente che stimo e con cui ho al pari un rapporto amicale che perdura da decenni. Tra amici fidati, specie così appassionati della Radio, ci si scambiano pareri in totale apertura e franchezza. E con entrambi si valutavano le new entry sul DAB, canali di operatori non broadcast annunciati anche in pompa magna, con grandissima preoccupazione. Non per noi, per il nostro lavoro e nemmeno per la concorrenza. Per il DAB!

Spiego la preoccupazione, anche per circoscriverla. Non è in discussione il DAB in quanto tale, sia tecnicamente che strategicamente. E nemmeno il fatto che al DAB, oltre agli operatori della FM, possa aderire una nuova classe di editori. E non mi riferisco nemmeno allo scandalo per il quale in molte regioni d’Italia al DAB abbiano potuto accedere le Radio locali con ritardi di più anni. O addirittura non ancora. La preoccupazione è che il DAB dei tanti operatori/consorzi e di tutte le libertà non sia la garanzia di un incremento di pubblico e di clientela pubblicitaria.

La fase della occupazione della banda DAB

E’ chiaro che ci troviamo ancora in una fase iniziale della banda DAB. Anche se ne parliamo da oltre 30 anni. Mentre il 95% dei veicoli immatricolati in Europa è consegnato ai proprietari con un ricevitore FM/DAB, la nostra industria del Broadcast Radiofonico è in uno status non ancora pienamente normato da leggi e regolamenti. Il processo di estensione del segnale DAB avanza con difformità. A livello nazionale ci sono differenze significative tra i 3 operatori e in ordine di maggior copertura (e corsa all’estensione) vi sono DAB Italia, EuroDAB e RAI, più distanziata.

Su base locale i consorzi tra le emittenti devono cercare di recuperare con la maggiore velocità possibile il grave ritardo causato dal differito trasferimento delle frequenze televisive. E quindi conseguire sulla copertura dei singoli territori almeno la medesima capillarità trasmissiva dei 3 operatori nazionali. Diversamente il DAB risulterebbe squilibrato nella rappresentatività dei 3 comparti: pubblico, nazionale e locale. Che il DAB sia ancora in una prima fase e che la parola giusta sia occupazione lo si nota da un elevato numero di conseguimenti e comportamenti.

I segni inequivocabili della fase di occupazione

  • La RAI e RTL 102.5, tra i primissimi promotori del DAB, hanno conseguito il loro interesse di posizionamento nella nuova banda con numerosità e formattazioni ottimali delle loro emittenti. Indubbiamente i 2 player DAB più evidenti e strutturati a chi effettua oggi una scansione sulla banda. Pronti strategicamente per la sfida del futuro. E con necessità, ovviamente, di far crescere editorialmente tutte le capacità DAB impiegate. Occupazione per sviluppo.
  • Le Radio locali stanno ricercando attraverso il DAB una forma di estensione territoriale in regioni limitrofe a quella di origine. Con rispetto per tale diritto ci si può domandare se ciò abbia un senso aziendale e commerciale in ogni singolo caso. E sono tanti. Occupazione per conquista.
  • I furbetti più furbi di tutti gli altri, sempre attivi con progetti nichilisti (come pensare che il mono faccia sentire meglio dello stereo), cercano di evitare la separazione tra operatori nazionali e consorzi locali, sancita da regolamenti. Saltando con la propria radio locale in differita di 30 minuti (un’idea sconvolgente) sul carro di uno degli operatori nazionali. Ah, ma non è “lui”. E’ una associazione che… Ah, ecco, appunto! Occupazione per furbizia.
  • Enti e aziende cercano di farsi la propria Radio. Tutto sommato la distribuzione costa poco e possiamo farci ascoltare in tutta Italia. Ciò è quanto pensano. E operatori e consorzi li celebrano e li aiutano pure. Con questi presupposti generici stiamo assistendo all’arrivo di Corporate Radio sul DAB che si cimentano però in intrattenimento più che in asset di servizio. Voglia di Radio (generalista e qualsiasi) perché esisto. Occupazione per identità.

Dopo quella di occupazione, qui solo sintetizzata, quale sarà la prossima fase del DAB?

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La seconda fase del DAB, forse quella della riflessione?

La seconda fase sarà quella della riflessione? Almeno speriamolo, perché altrimenti finiamo nella emulazione del DTT televisivo che essenzialmente è quello della irrilevanza se non nel danno di immagine per molti e certamente troppi dei suoi contenuti e dei suoi canali. Per evitarlo occorre agire forse anche in modo più stringente su norme e regolamenti di tutti gli operatori e consorzi. Mai dimenticarsi che il Broadcast della Radio, e dunque anche il DAB, rappresenta un servizio pubblico ad accesso libero. Ora alcune domande per la riflessione.

  • Oltre alle emittenti che ne hanno diritto, le ulteriori stazioni immesse nel DAB dilatano con efficacia il potenziale della Radio nell’interesse e al servizio del pubblico? Con ricerche che comprovino tale capacità di estensione e/o espansione?
  • I nuovi produttori di formati inediti, tali da rappresentare un fattore di novità, sono pronti a rendersi parte diligente nella promozione collettiva della piattaforma DAB?
  • Mentre la Radio è un essere vivente collegato all’asse del tempo, non è il caso di escludere o di vincolare ad aspetti di contenuto i nuovi produttori di formati per il DAB che facciano ricorso solo a musica senza forme di conduzione e/o informazione?
  • E’ possibile sviluppare al meglio, quindi meglio di oggi, la capacità selettiva delle stazioni da parte del pubblico? Ad esempio attraverso una più chiara identificazione dei formati?

Riflettiamo, gente, riflettiamo. Il momento è ora.

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